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La Sua storia

    

    
    Nella storia così complessa e mai totalmente decifrabile, per gli insondabili risvolti che con gli uomini segretamente trasmigrano nell' oltretempo, ci sono personalità che riescono ad esprimere sino in fondo ed interamente se stesse, altre invece vengono trattenute, sospese come in un limbo privilegiato, da cui non è concesso calarsi in contesti di compartecipazione storico-creativa, nè osare, inconsueta sortita, una vita parallela.

   
Ad esse viene così a mancare la possibilità di armonizzare sensibilità, pensiero ed esperienza che, con adeguato quotidiano ricrescere, costituiscono una propria salda impalcatura culturale.


Sac. Agostino Bagordo


    Se poi col vento sfavorevole sono scarsi anche i viveri, i sostegni più essenziali, e se non esistono nè noviziati o circoli da frequentare, nè si possiede lo spirito eccentrico e spensierato del bohémien, si rimane nascosti nel lido originario, come gli eroi secondari di Omero, in una esistenza appoggiata ai sentimenti ed ai principi basilari della famiglia e della religione.

    La possibilità di poter realizzare pienamente se stesso, svelare ed elevare tutto il potenziale fermento estetico-creativo, tutta l'accorata forza interiore non è stata accordata al Maestro Michele Corona, che intendiamo ricordare ora con testimonianze di chi ne considerò le prerogative umane e musicali

    Dal firmamento invisibile, in cui sembrava dovesse muoversi la sua storia, egli non è mai pienamente uscito, limitandoci così più chiara la comunione dell'incanto dei suoni. E tuttavia, pur dentro una carriera modesta di musicista locale, ci consegna numerosissime composizioni, melodicamente ispirate a intimismo e purezza di sentimenti, cari ai post-romantici del secolo scorso, e opere di soffusa patetica intonazione religiosa, come l'inno alla Vergine: «Ave, o madre», diversi Miserere, qualcuno a quattro voci, il Magnificat, la messa a S. Teresa d'Avila e quella a tre voci Puer natus, dove il composto rigoglio musicale confluisce e si concentra in modulazioni melodiche di schietta, nativa sacralità, o Le sette parole con un crescente appassionante presagio che prepara il desolato a solo dell'annunzio finale: «Gesù morì, morì!» quasi gemito della morte stessa, inedito per l'intero universo.

    Non ebbe vantaggio o avanzo di tempo da disporre per l'arte; non potè consultare e confrontarsi con maestri, nè ebbe mecenati facoltosi che lo sollevassero anzitutto dagli stenti, dalle gravi difficoltà economiche e gli offrissero quindi spazio e mezzi atti a promuovere e convalidare le sue peculiarità artistiche.

    Avrebbe avuto bisogno di altro clima, ove evolvere il suo innato lirismo, soffocato invece dalla chiusa provincia e dalla mancanza di adeguato, disteso respiro culturale. Così la sua sorte fu come quella di un seme piantato in una terra inadatta, indurita. Di ciò fu consapevole e per lunghi anni si portò dentro una profonda, reale sensazione di disagio, di pena, come per una privazione combinata, un annullamento involontario, che solo le risorse spirituali attenuavano.
L'elenco delle sue composizioni, pur incompleto, i disegni e le tele, esposti in questi  giorni alla galleria d'arte I Dioscuri, testimoniano la passione musicale e artistica di chi trascorse il tempo benevolo, quello degli ultimi anni soprattutto, al pianoforte e al cavalletto.

    La maggior parte delle composizioni sono inedite ed è impaziente desiderio dei familiari affidarle alle stampe e magari permetterne l'esecuzione. Noi vorremmo anche che i manoscritti del Maestro, come quelli di altri musicisti di Monopoli, fossero custoditi nella Biblioteca civica; questa era anche l'intenzione dello stesso Maestro. E così, proprio in occasione della mostra, i familiari affideranno al Sindaco della Città l'opera manoscritta del musicista Fortunato Giovè - Una caccia ai Bagnoli - che il M°Corona ha conservato, dopo averla salvata con altri manoscritti dalla bancarella di un ambulante, e brillantemente commentato sul mensile La Stella di Monopoli nei numeri di Gennaio e Febbraio 1960.

    Prima di riassumere in ragguagli e note essenziali la sua biografia, ricordiamo che nel 1931 fondò la Schola cantorum «D. Pietro Magri». Promosse e assecondò iniziative per suscitare interesse per la musica, come il Concerto lirico «Pro-Patrioti», da lui diretto nell'estate del 1944, con musiche di Leoncavallo, Rossini, Verdi, Schmit, Puccini, Listz, Schubert.

    In questo opuscolo singolari testimonianze accennano alla sua umile e pur decorosa vita, all'indole mite, allo zelo di organista a servizio liturgico; mentre lineamenti della sua immagine spirituale, di una fede, che attinge anche l'elevatezza mistica, troviamo nel suo diario e in particolare nelle lettere alla figlia Imelda religiosa del Carmelo. E la figliola, non senza commozione e venerazione, con trasparente purezza e riconoscenza , rievoca la profonda religiosità paterna, la pietas, quella devota fedeltà a Dio, alla famiglia, al prossimo, e la speranza rassicurante nel Cristo misericordioso, la speranza spoglia e serena sul tramontare delle cose e dell'esistenza terrena.

    Nacque a Forio d’Ischia, paesino su un promontorio della costa occidentale dell'isola d'Ischia, il 25 ottobre 1906. Il padre risiedeva da alcuni anni con la famiglia per lavori di decorazione, e vi decorò anche la bella chiesa del Soccorso a picco sul mare.
Michele viene a Monopoli all'età di cinque anni, nell'agosto del 1912 e vi rimane fino all'ottobre del 1965. Si trasferisce quindi a Conversano ove termina i suoi giorni il 22 maggio 1984, e lì è sepolto.

    Il padre Vincenzo, uomo sereno, affezionato alla famiglia, al lavoro e alla musica è anche suonatore di contrabbasso e spesso prende parte in complessi e orchestre per la rappresentazione di operette, tanto in voga. Ma si diletta anche col violino e la chitarra, acquista anche un vecchio pianoforte che puntella con due sedie.

    Michele frequenta gli studi fino alla media, mentre si esercita in casa su quel pianoforte; è ancora ragazzo quando imita il padre tentando di eseguire le stesse musiche. E' grande sorpresa, grande gioia per il padre che gli fa impartire lezioni dall'insegnante Addolorata Sardella, della quale conserviamo una Mazurka alla Chopin, dedicata alla Signora Bice De Martino, edita da Ricordi. Il ragazzo fa progressi e divora giorno dopo giorno spartiti musicali; così il buon Vincenzo acquista un altro pianoforte non nuovo, ma in buone condizioni.

    Michele tiene subito un piccolo concerto in uno dei modesti salotti culturali di alcuni nobili della città, quello di donna Cecchina Troia. E' presente anche don Clemente Meo-Evoli che, sorpreso dalla esecuzione, esorta il padre del ragazzo ad avviare il figlio ad uno studio più sistematico e approfondito della musica.

    Il padre, tanto generoso, non si tira indietro e Michele una volta la settimana si reca a Bari dal M° Nicola Costa. Studia con trasporto e ostinazione per diversi anni e s'impegna anche ad impartire lezioni di pianoforte. Quasi ogni sera poi in Città, con il padre e il fratello Tommaso, che suona il violino, s'inserisce con lo sfondo musicale per il Cinema muto, anticipo della futura colonna sonora.

    Prosegue con uguale passione nello studio e il 30 giugno 1929 consegue la Licenza di Materie Complementari (solfeggio e armonia) presso il Regio Conservatorio di Musica «S. Pietro a Maiella» a Napoli; il Compimento Superiore (Diploma) lo otterrà a Bari nell'anno 1954, presso il Liceo Musicale Consorziale «Nicolò Piccinni», per un quanto mai opportuno inserimento nella Scuola Statale come insegnante di canto.  E nella Scuola si inserirà definitivamente dal 1 ° ottobre 1963,insegnando musica e canto corale presso l'Istituto Magistrale Statale di Conversano.    


    Nel 1929 il Capitolo della Cattedrale di Monopoli, che aveva avuto già insigni maestri di Cappella, ricerca un organista per il nuovo grande organo di solennità tardo-romantica; propone il giovane Michele Corona e decide a proprie spese di indirizzarlo ad Oropa dall'organista e noto compositore Don Pietro Magri, per un periodo di almeno tre mesi, durante i quali far pratica di organo e canto gregoriano.

      E per lui bastarono solo i tre mesi invernali. Il contratto vincolava il giovane organista alle dipendenze del capitolo per un periodo di sei anni e con un compenso mensile di lire cinquecento, dalle quali si sarebbe sottratta la quota di lire cento, per ripagare il Capitolo delle spese sopportate per gli studi ad Oropa, spese complessive di circa 3800 lire.

Mons. Pietro Magri



    Il 29 marzo del 1930 il giovane maestro tiene già il suo primo concerto d'organo nella Basilica Cattedrale, eseguendo musiche di Dubois, Magri, Ropartz, Frank, Chopin, Beethoven, Bach, Bossi. Il quotidiano Il Giornale d'Italia del 3 aprile, nelle note di cronaca pugliese, riferisce l'avvenimento con ammirazione per la maestria del giovane organista.
Scaduto il contratto, il Capitolo non lo rinnova, anzi riduce il mensile a trecento lire che, col passare degli anni, non subisce adeguati aumenti, doverosa perequazione. E' possibile quindi immaginare la vita in contristante povertà del Maestro e dei suoi, soprattutto durante il periodo bellico e post-bellico, tanto che per la morte della figliola Franca, deceduta all'età di otto anni, egli non può trovare denaro per il funerale, nè per l'epigrafe ed è costretto a vendere il suo caro pianoforte.

    Di tante pene non potrà sempre trattenere lo scoppio; vi trapela ancora pochi mesi prima della morte in una risposta all'attuale procuratore del Capitolo Cattedrale per il libro sulla Madonna della Madia, offertogli per le nozze d'oro. Ecco il suo pacato, civile rammarico: «Ella, Signor Rettore, mi fa merito di tante cose, però purtroppo non può dirmi nulla riguardo i capitolari suoi predecessori che, pur apprezzando la mia devota professionalità e considerando le necessità più impellenti dei miei tanti bambini affamati, mi hanno martoriato con compensi di fame, fino a che per di disperazione abbandonai la Cattedrale senza nè pretendere, nè avere un centesimo di ben servito che pure per legge mi sarebbe spettato. Il Signore è molto misericordioso e mi ha dato la possibilità di affrontare le mille difficoltà per sistemare decorosamente i miei tanti figli e di trascorrere una vecchiaia decorosa per poterlo lodare e ringraziare per ogni cosa e per il dono ultimo del mio giubileo d'oro». E alla fine della lettera ancora un cenno ad un passato «a volte ricco soltanto di amarezze e dolore».

    Solo l'ingresso nella Scuola potè assicurargli una certa tranquillità economica, e fu davvero benedizione! Ma pur nella miseria, nel disagio, il suo animo temprato da forti prove fu capace persino di autoironia, come appare da alcuni suoi versi degli anni 40 forse, conferma e previsione insieme della sua pensosa sorte:


                                                                     «
Dell'arte tua, scemo, che te ne fai?
                                                                      Che val la fonte viva c'hai in core?
                                                                      Nè pan, nè vesti avrai, nè or, nè mai!
».

    Gli ultimi anni della sua vita furono contrariati da pene fisiche che sopportò con edificante pazienza e fede; il cappellano dell'Ospedale di Conversano, Vincenzo Togati, parla come di una grande fortuna averlo potuto ascoltare, sondare la profondità della sua fede, la certezza della sua speranza e il calore altissimo della sua Carità, e ne ricorda la pietà che trasformava in preci i suoi atroci dolori «offerti come musica soave all'Onnipotente»; parla di un letto come di una cattedra di scienze umane e divine; a quella cattedra, come verso un loro maestro, guardavano con ammirazione e speranza i compagni di dolore, degenti insieme a lui. «II 22 maggio si spegneva serenamente, quasi all'improvviso, consegnando come suo ultimo ricordo ai presenti non precetti e raccomandazioni, ma il suo atteggiamento sereno e gioioso, quale testimonianza palpitante di vita santa».

    Fra le tante composizioni vogliamo ricordare in particolare l'opera lirica “Silvana”,  in tre atti, su libretto di Ennio Cardinale che estende la trama del maestro stesso, opera dedicata alla figlioletta Franca, morta nel gennaio 1950, dopo aver ripetuto: "Quanto è bella la Silvana, la Silvana, l'opera di babbo”. Fu presentata al Concorso Internazionale,  Bandito dal Teatro alla Scala di Milano nel 1950, in occasione del cinquantenario della morte di Giuseppe Verdi, e si classificò al sesto posto su centoventotto opere pervenute; vincitore risultò il MC J. Josè Castro con «Proserpina e lo straniero» che tuttavia all'esecuzione provocò l'indignazione del pubblico. Della «Silvana» citiamo la "Danza delle gitane» del primo atto, la ” Pregheria di Silvana”,  del secondo atto "Di noi pietà ti prenda» e il patetico finale del terzo atto. Per questa opera si conservano testimonianze di plauso e ammirazione; se ne fa cenno in Momento sera del 30 settembre 1949, dopo una esecuzione privata.

    A noi piace concludere queste note con un riferimento alla lettera del 6/4/81 dello stesso M° Corona,  per un inno da lui composto alla Regina del Carmelo: "Ho dovuto soffrire un tantino per quel verso conclusivo con l'imperativo: 'Tu m'ascolta!'. lo ho creduto che andasse bene ma ... mi hanno un pò tutti tacciato quasi d'ignoranza. Però cocciutamente l'ho lasciato così, pregando la Madonna che,  almeno quando non vedrò più e nessuno,  udrà la mia voce. Ella sola oda pietosa la preghiera muta di questo umile servo peccatore e guidi la mia anima al Cielo per riposare finalmente in pace”.

    C'è un significante riferimento a tutta la sua storia umana, religiosa, artistica.
Nel nostro opuscolo manca un commento appropriato alla sua arte, manca la voce di un maestro, un critico musicale; ma come averlo potuto ricercare se tantissime composizioni sono inedite, se pochi conoscono la sua musica oltre quella eseguita in chiesa?

    E' l'anno internazionale della musica e sarebbe davvero opportuno dedicare un concerto tutto per lui, con la sua musica, la musica che era il suo cuore buono, la sua confortevole isola di coralli e di crateri.

                                           Agostino Bagordo

(Tratto dal libretto "Pentagramma per Michele Corona " a cura di Agostino Bagordo - Maggio 1985)
                          Con il patrocinio del Comune di Monopoli


       



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